Come un vero regalo piovuto dal cielo e del tutto inaspettato domenica scorsa sono venuti a trovarmi fin nel mio (quasi) eremo attuale Gianni e Caterina. Con lui ho fatto un mese di militare ad Asti nel 1976 (!), lei è sua moglie e la conoscevo dai tempi della nostra gioventù militante, in Avanguardia Operaia prima e in Democrazia Proletaria poi. Quasi quarant’anni di distacco sono trascorsi fra noi, a parte la presentazione del mio libro a Niguarda lo scorso mese di novembre, dove ho ritrovato proprio Gianni: è venuto e non sapeva nemmeno che il libro fosse mio, e la felicità nel ritrovarci così è stata doppia. Promessa di non perderci di nuovo mantenuta, allora, complici un paio di concerti a Roma, ché per il mio amico-compagno ricomparso la musica è più importante del calcio, e mica si può essere d’accordo su tutto.
Al nuovo incontro baci e abbracci, e quasi subito telefonata a Donato, che ha fatto anche lui il militare con noi; poco tempo insieme nel complesso, ma passato da “proletari in divisa” e con il fazzoletto rosso in faccia per non farci riconoscere, in giro per le feste di sinistra del Piemonte e della Lombardia: adesso la cosa non provoca brividi, ma allora assicuro di sì, e tanti. Donato lo avevo già scovato io da un po’ di tempo a Penne, dove è stato sindaco del Pd; lì sono andato a trovarlo a sorpresa un paio di anni fa, e non la smetteva più di piangere e ridere insieme; Gianni invece non lo sentiva e vedeva da allora, quindi ho fatto il numero e ho passato il telefonino: è stato uno spettacolo sentire quello che dicevano, e fra un po’ abbiamo deciso che ci ritroviamo tutti insieme, con le nostre famiglie. La serata è poi trascorsa a parlare di amici e battaglie comuni e anche di calcio, soprattutto della prima volta che sono entrato all’interno campo di San Siro e lo devo proprio al Gianni: lui faceva il fotografo per la Hinno Hit e mi ha fatto imbucare sul prato verde dei miei sogni (per la cronaca era Inter-Genoa, 0 a 0; mi ricordo che era una delle prime partite di Bergomi, in porta per loro c’era Martina, che era un ex ed è stato il migliore in campo; mania da tabellino), e per un malato di nerazzurro come me sono cose che restano scolpite per l’eternità.
Parlando un po’ di tutto scopro anche che è stato Guido Pollice a sposarli – episodio anche questo d’epoca remota -, allora faccio un altro numero di telefono, di nascosto, e passo ancora il cellulare. Guido abita a Roma, noi ci si vede ogni tanto, e so come trovarlo; anche qui grande commozione e gioia nel risentirsi, e di nuovo promessa che ci si vedrà riuniti: la prossima a Roma è obbligatorio, ci diciamo. I ricordi tengono grande banco per tutto il tempo, così scopro un po’ di cose che mi erano sfuggite, mancando da Milano da un po’. Ad esempio di Guido Visco, che ha smesso di fare l’operaio-massa (era un mito ed era vero, altro che Cipputi!) e si è trasferito nell’Oltrepò, di Emilio Molinari che si occupa di acqua e diritti civili (non ha mai smesso di occuparsi di giuste cause anche lontano da Ao e Dp, fin da quando io ero un bambino e lui un uomo e compagno d’acciaio), di Saverio, Umberto, Nico, Matteo, Gemma e tantissimi altri, ché non li nomino tutti sennò non finisco più. Poi siamo passati a rimembrare la militanza, le manifestazioni del sabato che c’erano ogni sabato (la ripetizione è voluta) con il finale di serata poi nei trani a cantare le canzoni di lotta e a bere pessimo vino rosso sfuso, le riunioni in via Vetere, l’attesa del Quotidiano dei Lavoratori in edicola ogni giorno (una soddisfazione sentirlo per me, che ci scrivevo), l’ascolto emozionante delle prime e avventurose trasmissioni di Canale 96 (soddisfazione anche qui per la stessa ragione), i plotoni del servizio d’ordine, le lotte, gli scontri e le fughe, gli amori di un lampo e quelli lunghi, fino ai compagni che ci hanno lasciato e non ci sono più.
Credo mi si possa capire se dico che dopo mezz’ora era come se ci fossimo visti la settimana prima, che gli anni non fossero mai passati, che noi si sia rimasti sempre gli stessi anche se apparentemente assolutamente diversi. Per tanti con la mia storia è proprio questo il “sentire” quando ci si ritrova: una sorta di imprinting comune piacevole e dolce, ma anche struggente e un po’ triste, e non potrebbe essere altrimenti. Mi capitano sempre più spesso momenti del genere, e mi accorgo di quanto sia stato importante per la mia vita aver passato quel periodo, quanto sia stato “formativo” per la mia etica, quanto si sia rivelato fondamentale per quello che è successo dopo, nel bene e nel male. E, come successo con Gianni e Caterina, sia davvero come non ci fossimo lasciati mai: io, loro e tutti i compagni che ho avuto l’onore, la gioia e il piacere di incrociare anche solo per un attimo, in quegli anni meravigliosi. Non potrebbe essere che così, per noi che li abbiamo vissuti. A tinte forti, di quelle che restano indelebili.