Solo nelle ultime ore, dalla cronaca del Belpaese.
Evidentemente del tutto capaci di male-intendere le corrette funzioni proprie del tablet personale che la scuola aveva deciso di lasciare a loro disposizione come strumento d’apprendimento – primo istituto ad averlo fatto, in tutt’Italia! -, quattro studenti della media di Mele (in provincia di Genova) hanno pensato bene di utilizzarlo in maniera quantomeno singolare: per riprendere il pestaggio di un ragazzo disabile, ex frequentante dello stesso istituto che aspettava degli amici all’uscita. L’ulteriore bravata di postare in rete l’impresa è stata evitata in extremis da un’insegnante – questo tipo di cervelloni lo fanno spesso, come se non fossero minimamente sfiorati dal fatto che il tutto si ritorce doppiamente contro di loro; oppure che ne siano consapevoli, ma se ne freghino – che ha poi denunciato l’episodio ai carabinieri. Già questa sarebbe notizia tragica e incredibile, ma in sovrappiù c’è che uno dei genitori del singolare manipolo di attori coraggiosi è stato capace di andare oltre, dichiarando che la denuncia del suo e degli altri pargoli gli è parsa “esagerata”. Che lavoro farà il brav’uomo? Ma che diamine: l’insegnante! All’intrepido docente-procreatore sarebbe bastata – testuale – “una tirata d’orecchi”, ed eventualmente un provvedimento disciplinare. Che, fra l’altro, non c’è stato: la presidenza della scuola ha preferito soprassedere, che come complicità in un reato nemmeno questa è male. La denuncia è però andata avanti lo stesso, e adesso i nostri prodi sono sotto controllo per “un percorso di recupero” che si immagina e spera lungo, esaustivo e già che ci siamo educativo: a sostituzione di quello che avrebbero dovuto ricevere in famiglia. Anzi: se ad andare a ripetizione di educazione civica e morale fosse il genitore-insegnante che è stato capace di definire solo come “bravata” il comportamento indegno del suo continuatore di stirpe in erba, forse gli studenti in carico – presenti e futuri – tirerebbero un respiro di sollievo.
Si vede che l’incombenza genitoriale sa rivelarsi anche un danno trasversale che non tiene in molto conto le differenze geografiche, se è vero che mamma e papà di Nardò (stavolta siamo in provincia di Lecce) hanno pensato lo scorso agosto di strattonare (lei) e addirittura prendere a schiaffi (lui) un ragazzino che, giocando a calcio, non passava la palla al figlio in maniera soddisfacente, oltre che essere poco capace – sempre secondo loro: si sono giustificati così – di tirare calci ad un pallone (che da piccoli è quello che si deve fare, e basta). La partita in questione riguardava la categoria “esordienti” – cioè quella dei ragazzini fra i 10 e i 12 anni – e c’è da dire che come esordio nel campo dell’imbecillità mostrata dai grandi, per i piccoli partecipanti la tenzone, non dev’essere stato niente male. Partita interrotta e tutti in commissariato per una denuncia duplice – arrivata solo ora alla ribalta: è successo in agosto – dei bravi e zelanti bambinoni maggiorenni e mai cresciuti, evidentemente solo per caso schierati nel campo degli adulti: con le conseguenze anche penali che ne verranno potranno sempre redimersi (ma è difficile), o darsi alla briscola. Ma ho come l’impressione che non mancherebbero di combinare sfracelli anche lì.
Torniamo (con la palla) al centro. Due ragazzine romane di 14 e 15 anni si danno alla prostituzione; letto bene, sì: l’età è proprio quella. I giornali sottolineano che ci arrivano “quasi per caso e per gioco”, e come si possa per caso “giocare” a fare le prostitute a quell’età è già paradigmatico di un’attenzione adulta verso di loro del tutto latitante. A un certo punto la madre di quella più grande si accorge di atteggiamenti strani e nervosi della figlia, avvia un’indagine privata, scopre tutto e denuncia in caserma un autentico traffico di “grandi” che gravita intorno alle giovanissime prede. Scattano gli arresti, e arrivano almeno due sorprese più grosse del fatto già enorme in sé. La prima: carnefici e vittime abitano tutti in una delle zone più esclusive della città, i Parioli, mica una borgata delle tante ai margini del GRA: praticamente un traffico squallido fra vicini di casa, ma tutti “borghesi” più che benestanti. La seconda: uno degli arresti riguarda l’altra madre che, pur avendo capito benissimo il dramma che viveva la figlia, lo ha supportato andando anche oltre. In parole povere: spingendola e costringendola a non smettere, perché lei – la mamma! – aveva perso il lavoro e aveva bisogno di quei soldi piovuti dal cielo – immaginiamocelo, per un attimo, quel cielo – della sua bimba. Quindi, mamma ma anche “pappona” – in mefitica combutta con un pappone vero, arrivato come un falco predatore a ghermire con i soliti artigli dello sfruttamento, appena fiutato l’affare – per procurare a sé, figlia e resto della famiglia la “pappa” comprata dal pizzicagnolo dei ricchi magari sottocasa, per tirare avanti meglio di prima il bilancio familiare speculando sulla carne della propria carne. Alla faccia della borghesia, grande o piccola, che ci dev’essere da quelle parti “perbene”.