Qualche sera fa, all’uscita di un cinema si San Lorenzo, a Roma. Sono con mio figlio Michele, mia moglie e alcuni amici; dopo il film si va per le strade di quel quartiere pieno di vita, musica e colori in cerca di un locale fra i tanti belli lì, per bere qualcosa. In via dei Volsci – che è un posto da me battuto per anni e anni in un passato remoto che per la mia memoria non lo è mai abbastanza, e son contento così – vedo un ragazzo chiaramente straniero seduto sul bordo del marciapiede, che mi guarda fra lo spaventato e l’incuriosito. Faccio finta di niente finché quello mi chiama, a voce abbastanza alta, ma per niente fastidiosa: “Scusami, tu, posso parlarti un attimo?”.
Allora mi volto, e dico di sì, certo, e gli chiedo gentilmente cosa vuole. Il ragazzo dice qualcosa nella sua lingua ad un altro seduto vicino, scrolla la testa come incredulo, poi si alza e viene verso di me con la mano tesa, per stringermela. Chiedo di nuovo con dolcezza cosa vuole e qual è il problema, e lui: “Adesso che ho sentito anche la voce sono sicuro che non puoi essere tu, ma siete assolutamente uguali. Si dice che ogni di noi al mondo ha quaranta sosia, ma due nella stessa città non riesco proprio a immaginarmeli: è impossibile”.
Chiedo chi sarebbe l’altro che mi somiglia così tanto. “E’ il poliziotto che mi ha arrestato – risponde lui -, ormai qualche anno fa. Ma non ti assomiglia e basta: siete proprio due gocce d’acqua”.
Michele, che è rimasto al mio fianco per tutto il poco tempo di quello strano incontro, conosce l’arabo e scambia qualche parola con il suo quasi coetaneo (ci dirà che è marocchino), che resta molto sorpreso; vanno avanti un po’, poi mio figlio, prima di andarcene, gli dice: “Salam aleikum”, che è il saluto classico e beneaugurante in quella lingua.
Il ragazzo risponde a mio figlio con l’augurio di risposta e rimando: “Aleikum salam”; poi, si rivolge a me: “E’ fantastico quello che succede. Fino ad adesso, in tanti anni che sono qui non avevo mai incontrato nessun italiano che poteva parlare con me, nel modo che io capisco. Quindi, credimi amico: Allah ci vuol dire qualcosa, stasera. A me, che finalmente posso dire a testa alta di aver cambiato vita, ed esserne fiero. A te non so, ma qualcosa vuole sicuramente dire. Ciao fratello, e vivi bene”, e mi abbraccia prima di andare via.
Non sono credente ma invece senz’altro rispettoso degli dei altrui qualunque essi siano, quindi ho accolto l’interpretazione come un oracolo transreligioso (e forse anche pagano per me, che ci sta a pennello) possibilmente veritiero, e sto quindi aspettando che succeda quel qualcosa. Mi piace crederlo, ché alla fin fine tutti si finisce – magari solo per qualche tempo – per credere in qualcosa.