Non so perché – e nemmeno se qualcun’altro lo ha notato – ma i semafori rossi, a Roma, sono più lunghi di quelli di Milano. Fra l’altro, posso affermarlo con certezza: ho cronometrato il loro lampeggiare più volte in situazioni di viabilità pressoché compatibili in entrambe le città, e ho avuto conferma di quanto non fosse campata in aria la sensazione (altro segnale che sono mezzo svitato, lo so).
Quindi, quando mi capita un semaforo rosso a Roma e realizzo di doverci restare impalato davanti per un bel po’, colgo spesso l’occasione di ricordare un siparietto di me poco più che bambino con mio padre, ormai tantissimo tempo fa.
Era appena successa la strage di piazza Fontana, e in televisione non si parlava (e straparlava, con il senno di poi) altro che di anarchici, e non era un parlare tranquillizzante soprattutto per un ragazzino. Così, gli domandai:
“Papà, ma chi sono gli anarchici?”.
E lui, sorprendentemente:
“Eh, sono persone splendide… Immaginano un modo senza regole imposte da altri, ma dove tutti rispettano e si rispettano. Quella si chiama anarchia”.
“Quindi, in un posto del genere non ci sarebbero nemmeno i semafori?”, ribattei, dopo averci pensato su un po’.
Si mise a ridere, e disse:
“Eh già, sicuro che non ci sarebbero!”.
Io: “Ma allora è impossibile che arrivi l’anarchia…”.
“Infatti. E’ per questo che ci dobbiamo tenere la democrazia”.
E così, in quel giorno ormai parecchio lontano, ho imparato che la democrazia è quella cosa dove ci sono i semafori.
Ieri, a un semaforo rosso di Roma ci sono capitato con mio figlio Michele, e ho avuto memoria e occasione di raccontargli quella storia. Naturalmente, lui sa già benissimo cos’è l’anarchia (anche perché è più grande di quanto lo fossi io allora), e ha sorriso quasi nello stesso modo di come lo fece mio padre quella volta: questo tramandare inconsapevole fra generazioni mi ha intenerito tantissimo, e commosso anche.
Michele ha anche poi detto che quello gli sembrava un modo singolare e bellissimo per definire anarchia e democrazia, e il suo mi è sembrato il modo migliore per esprimere quello che non colse al volo di fare anche il mio papà, e chissà perché.
I concetti tramandati di padre in figlio, con il figlio-nipote di oggi che chiude il cerchio. Per adesso però, ché magari un giorno ci sarà modo di riaprirlo, solo che la stirpe abbia modo di perpetuarsi di nuovo. Io già ci conto.