Ho una collezione di cravatte “ricca” risalente ai tempi della Fininvest, quando l’agghindarsi paludati era un obbligo, non imposto ma naturale. Ora le uso molto meno, ma molte sono bellissime: non ne avevo quasi mai messe prima di quegli anni, quindi – se proprio dovevo farlo – per un periodo ne feci una specie di raccolta ricercata. Oggi le ho prese tutte e messe davanti a Michele, mio figlio, e gli ho detto di scegliere quelle che voleva. Ne ha messe da parte delicatamente una decina, qualcuna era anche fra le mie preferite: si vede che il gusto fa parte del DNA. Mi è sembrato di trasferirgli un pezzo di me, un acconto di eredità (e non so nemmeno bene quale potrebbe mai essere il saldo, negli anni ancora a venire) e l’episodio mi è rimasto dentro come un bel momento fra di noi, di quelli che segnano. Non credo lo dimenticherò presto.