Dal prologo di Troppa nebbia nel cuore di Tiziano Marelli, Edizioni dEste. Prima uscita in versione e-book: giovedì 10 marzo 2016)
La domanda mi venne spontanea quando, mentre si stava parlando di Stefano (il mio figlio più piccolo), avevo colto sul viso di mia madre una smorfia quasi di disgusto. Lo faceva ancora una volta, un’altra volta, per l’ennesima volta, quando l’argomento era lui, e allora finalmente – dopo tanto, troppo tempo: avrei dovuto senz’altro osare molto prima – trovai il coraggio di chiederglielo: “Si può sapere perché quando pronuncio il suo nome fai sempre quella faccia schifata?”.
E la risposta, del tutto inaspettata davvero, arrivò come una schioppettata in pieno petto, di quelle che tramortiscono e lasciano increduli e sbattuti sbalorditi a terra per il rinculo, lì da soli a rimirarsi per le conseguenze che ne possono derivare e gli orizzonti inimmaginabili che possono spalancare, grazie alla forza devastante di poche e mirate parole: “Perché te ghet un fradel che’l se ciama inscì”.
Ci ho messo pochissimo per inserire il mio traduttore automatico dal dialetto milanese (un po’ arrugginito dagli anni) e cogliere appieno il senso della frase, e risentirmi nelle orecchie in lingua corrente la frase che suonava in questo modo, esattamente: “Perché tu hai un fratello che si chiama così”.
Mi ricordo tutto di quell’attimo. Mancava poco al momento tristissimo e oltremodo travagliato della mia separazione, quindi sarà stata più o meno la metà del 1995. Insieme, io e lei, stavamo tornando dall’ospedale di Magenta, e la riportavo a casa in auto dopo una doppia operazione alla cataratta. Ricordo anche il punto esatto: eravamo all’altezza dello svincolo di Settimo Milanese in corrispondenza dell’ingresso di sinistra della tangenziale ovest per andare in direzione di Cormano, verso casa, da tempo ormai solo casa sua. Ed era la tarda mattinata di una giornata di sole.
(i non autoctoni non si preoccupino: le poche righe in dialetto meneghino presenti nelle prime pagine sono le uniche di tutto il libro)