All’inizio di gennaio, dopo aver accettato l’amicizia chiesta da Alfio Nicotra su Facebook, ho ricevuto da lui questo messaggio, davvero un grande regalo del nuovo anno:
“Grazie, Tiziano. Proprio oggi sono andato in biblioteca nazionale a Firenze a recuperare un vecchio numero di Lotta Continua che raccontava dell’attesa in via Vetere per le elezioni politiche del 1979. Il pezzo mi piacque moltissimo (avevo 17 anni) ed essendomi deciso solo ora a scrivere una tesi sui gruppi parlamentari di Dp mi sono ricordato di quel tuo affresco. Comincerò la tesi da quell’incipit. (…) era un pezzo stupendo, descriveva esattamente il sentimento diffuso di una comunità politica. La frase ‘il quorum non lo prendiamo neanche se ci mettiamo a cantare l’internazionale in cinese’ l’ho usata mille volte, ovviamente non riferendomi al quorum ma ad altre cose. Un piacere averti ritrovato. Ancora grazie.”
Invece, grazie ad Alfio lo devo dire io, dato che è assolutamente un grande onore essere citato in una tesi di laurea, avendo io solo la terza media e poi quasi subito via a lavorare causa padre disoccupato di lungo corso. Ma, soprattutto, lo ringrazio perché il suo messaggio mi ha riportato alla memoria quella pagina pubblicata su Lc ,un evento che ha rappresentato una specie di svolta nella mia vita. Infatti, chiuso il Quotidiano dei Lavoratori non sapevo proprio cosa fare: soprattutto ero fortemente in dubbio se continuare a fare il giornalista perché non me ne sentivo all’altezza, e non mi veniva in mente altro lavoro possibile perché tutto il resto che proponeva il “mercato” non mi attirava per niente.
Era la fine di giugno di quell’anno maledetto, le elezioni politiche erano andate malissimo – sotto il simbolo di Nsu, Nuova Sinistra Unita: un accrocchio politico che metteva insieme un po’ tutta la sinistra “extraparlamentare , disunendola una volta per tutte – e di conseguenza il giornale aveva chiuso quasi subito per sempre, e io ero in totale fibrillazione emotiva. Scrissi quel pezzo lunghissimo dedicato all’ultima sera che ci trasformava da militanti ottimisti in straccetti da stato comatoso, e prima di tutto lo feci leggere a Bruno (spero se lo ricordi, dovrebbe) perché non ero sicuro ne valesse la pena e lui era da sempre critico il giusto verso quello che buttavo giù, in genere di getto, come feci in quell’occasione. Eravamo come al solito alla Trattoria degli Artisti, alle Colonne di San Lorenzo; gli consegnai i fogli dattiloscritti e uscii per fumare una sigaretta, in ansia per il giudizio. Tornato, Bruno mi disse (del tutto inaspettatamente): “Tizià, è bellissimo”. Allora il giorno dopo chiamai a Roma una compagna di Lotta Continua che conoscevo da anni e le chiesi se era proponibile un articolo sul suo giornale (che poi, per qualche tempo divenne anche il mio, prima che chiudesse anche quello e di virare sul manifesto) dedicato al nostro sfacelo, elettorale e umano; lei ne parlò con Adriano Sofri, e lui – incredibile!, non ci avrei scommesso una lira – accettò. Uscì una pagina intera, con tanto di richiamo in prima. Subito, dal giorno dopo, in molti mi dissero di averlo letto, e di ritrovarsi completamente in quelle righe: avevamo fallito, ma si doveva ricominciare. Mi ricordo anche quello che mi disse Mario Capanna, citato ampiamente in quelle righe: “Compagno Marelli, bella cosa hai scritto. Continuiamo così!”, e si riferiva a quale doveva essere il nostro impegno di militanti che non dovevano mollare.
Il momento più bello però capitò a Bologna, proprio il giorno successivo alla pubblicazione. Ero andato alla federazione di Democrazia Proletaria per incontrare alcuni amici, e fra loro c’erano Manuela e Raffaella (chissà se se lo ricordano, anche loro: dovrebbero), a me molto care. Passammo gran parte della giornata insieme, e verso sera arrivò in sede un compagno mai visto prima, che aveva quel numero del giornale in tasca. Lo tirò fuori davanti a tutti, e disse: “Oggi è uscito su Lc un articolo di uno del Quotidiano. L’ho letto e riletto un sacco di volte, e lo consiglio a tutti. Quelli descritti sono io, siamo noi. Questa copia la terrò da parte per sempre”. Senza dirgli niente di più, lo invitati a bere qualcosa insieme: non ho mai saputo chi fosse e nemmeno come si chiamasse (quasi una citazione sonora, e proprio su Bologna è perfetta), ma è stato capace di regalarmi una delle più grandi soddisfazioni della mia vita, personale e – soprattutto – professionale. E fu tutto questo che fece traboccare il vaso della mia incertezza, e decisi che forse valeva la pena di continuare a (provare a) scrivere, ché non era del tutto da buttare via quello che mi frullava in testa davanti alla cronaca e agli accadimenti della vita.
Momenti topici e determinanti, ricordati proprio ora che son qui a chiedermi se valga ancora la pena di continuare a scrivere o smetterla per sempre. Una parziale risposta me l’ha data la comparsa a sorpresa di Alfio, e ci penserò su un po’ di tempo ancora.