Per la prima volta dalla scomparsa di Olga, ieri sera io e Igea abbiamo di nuovo giocato a carte. Quando lo facevamo che mia suocera c’era ancora, lei stava vicino a noi, nella parte più stretta del tavolo e faceva un solitario, oppure ci guardava, e diceva: “Non capisco proprio a cosa state giocando, io non ci riuscirei mai”, e nel caso era burraco.
Quando non smazzava carte in solitudine o non era intenta a guardarci tentando di capire, per evitare che si agitasse io le mettevo un piatto ricolmo di patatine, lei le mangiava tutte a tempo di record e dovevo continuare a riempirlo, così potevamo finire la partita senza che si lamentasse per la fame (di solito l’intermezzo giocoliero succedeva di sera, dopo il lavoro).
Ancora, se fra una mano e l’altra andavo a fumare una sigaretta le chiedevo di controllare che Igea “non rubasse i jolly” (impossibile) oppure di tagliare il mazzo al posto mio, e Olga eseguiva, con grande cura e attenzione: faceva così, per ogni cosa la riguardasse.
Ieri sera ci siamo ricordati tutte queste cose, e tutti e due guardavamo quell’angolo dei tavolo come se lei fosse lì (e c’era, secondo me); ci siamo commossi, com’è naturale, ricordando chi ha fatto parte del nostro vivere quotidiano; a Igea molto più di me, ché di mamma ce n’è una.
Fra poco più di due mesi sarà un anno che ci ha lasciato. Sembra un lasso di tempo infinito, ma sembra anche ieri.