Ieri sono riuscito finalmente ad andare a trovare Giorgio, nel suo bellissimo agriturismo in Maremma, il “Palmo di terra”, che tanto palmo non è visto che è un terreno che si perde a vista d’occhio, nel bel mezzo di un panorama splendido. Ci sono andato per portargli la copia di “Troppa nebbia nel cure” con dedica, e per ringraziarlo per la prefazione bellissima che ha scritto per l’occasione. Siamo capitati a parlare della “nostra” Milano, e alla fine anche della Trattoria degli Artisti, di cui parlo nel libro. Oggi sono andato a cercare in rete per scoprire – purtroppo, e che peccato: già solo l’insegna, di un giallo stinta da tempi andati – era mitica – che non esiste nemmeno una fotografia di quello splendido tempio meneghino del convivio ormai chiuso da anni, che a molti della mia generazione e di quel periodo “politico” ha dato tanto. Chissà che fine ha fatto “il Franco” (se qualcuno lo sa, me lo dica per favore), dove sono adesso i ragazzi egiziani che stavano in cucina e i clienti abituali, che erano tutti diventati membri di una mia famiglia allargata. Agli Artisti ho dedicato un pezzo di un capitolo portante del mio libro, e mi è venuta voglia adesso di riportarne alcuni stralci qui. E chi ha conosciuto il posto, ci si ritroverà, senz’altro.
“(…) Non ci avevo pensato prima a dove portarla, ma ho come un lampo: si va al Ticinese, alla Trattoria degli Artisti, giusto di fronte alle Colonne di San Lorenzo. Non ci capito da anni, per tanto tempo è stato il mio rifugio d’eccellenza al tempo della “rivoluzione” e per un pezzo anche dopo, ma con la normalizzazione del mio stato borghese ho abbandonato anche quel luogo di delizie, culinarie e non solo. Ci si facevano riunioni politiche non programmate, si incontrava di tutto e tutti (mi ricordo di ladri e puttane, ma anche pittori squattrinati e professionisti irreprensibili, come ogni buon trani della vecchia Milano che si rispetti), ci portavo fidanzate, amanti e quando non ero già sistemato per la notte c’erano sempre donne sconosciute che incontravo sul posto, e giusto il tempo di conoscersi e mangiare veloce che dopo due ore eravamo già a letto.
La trattoria c’è ancora, e anche il Franco, ma gli anni devono essere passati anche per lui (…). Saluti e pacche sulle spalle a parte, ha fatto solo il suo dovere di oste come non aveva mai fatto in anni e anni di frequentazione: il padrone-cameriere, e anche discreto. Ha solo il tempo di dirmi che la sua mamma (un mito!) ha mollato la cucina perché ha passato gli 85 e non ce la fa più, che suo fratello Benito (la parte fascista della famiglia) stava male e che mancava poco poi sarebbe andato all’altro mondo (succederà tre mesi dopo, verrò comunque a sapere) e che dell’ulteriore fratello – quello pirla, che ha fatto una vita la riserva come concorrente al “Rischiatutto” di Mike Bongiorno senza mai diventare titolare in anni e anni d’attesa – ha perso le tracce perché appunto troppo scemo anche per lui. Restano in cucina Antonio e Giuseppe, che sono i nomi italianizzati dei due egiziani che sono lì ormai da una vita, e che quando vado a salutarli quasi si mettono a piangere e saltare di gioia, (…) tutti e due hanno messo su famiglia con donne italiane, e fatto anche un nugolo di figli, quindi anche forse recuperato in numero di scopate che una volta – nonostante femminismo galoppante, solidarietà di sinistra verso il lavoratore straniero e generalizzata libertà di costumi – potevano solo immaginare come sogno erotico e di sistemazione impossibile. Nel complesso, è l’occasione buona per prendere nota una volta di più che i tempi cambiano più in fretta di quanto ci accorgiamo, e lo hanno fatto anche quelli di quando io e il Franco eravamo in simbiosi quasi su tutto meno che sulla politica (lui era di sinistra, ma un “destro” perché del Pci, figuriamoci…) e assolutamente sulla squadra del cuore, e spesso andavamo insieme a San Siro a vedere l’Inter. Ormai la ‘nostra storia’ è solo un ricordo bello, ma vecchio e stantio (…) . Franco è sempre stato anche un po’ psicologo per via del mestiere ma non solo, e anche stavolta – che sarà l’ultima fra noi – ha capito al volo l’aria che tira. In fondo, io e lui siamo o non siamo stati in sintonia per quasi una vita, anche se ormai del tutto passata? Mi domanda solo se voglio “il solito”, come se l’avessi chiesto la sera prima. Gli dico ridendo di sì e non aggiungo altro, e lui non sbaglierà un colpo che sia uno di quelle che erano (e un po’ sono, anche adesso) le mie abitudini: acqua gassata, mezzo di rosso, spaghetti all’arrabbiatissima, petto di pollo alla griglia con insalata verde e cipolle, tiramisù, niente caffè e doppia grappa. Giuro, le azzecca tutte”.