15 marzo 2013
Siamo scampati all’ennesimo stress coronarico anche stavolta, e dunque eccoci qui ancora a raccontare dei nostri prodi in maglia nerazzurra (quella giusta, finalmente: il rosso, anche se indossato in modalità rara, con le nostre vesti c’azzecca davvero niente, oltre che portare un filino sfiga). Diciamolo: di arrivare a giocarci i 120’ in fondo lo sapevamo oltre che sperarlo, e anche che alla fin fine poteva finire così. Fuori dall’Europa, ma poteva pure essere che a farlo erano gli odiati Hotspur, che da ieri sera lo sono ancora un po’ di più. Del resto, la mia terza squadra del cuore è l’Arsenal, loro fierissima e antica nemica, e di fare un favore ai cugini dell’ormai mitico nonché raso al suolo Highbury era ragione in più per sperare nel miracolo, purtroppo solo sfiorato (la seconda in ordine di preferenza è il Barcellona, da qualche giorno in maniera totalmente inamovibile, ed è inutile chiedermi il perché).
Rimandati a casa (anche se proprio a casa c’eravamo già), quindi, ma con moltissimo onore: sarà poco, ma è comunque meglio che venire sbertucciati con una quaterna senza mai vedere la biglia per 90’ più recupero e dopo aver covato la speranza di un miracolo impossibile: la remuntada ai catalani l’abbiamo impedita solo noi in Champions, a memoria d’uomini e di extraterrestri (qui intendo l’immenso Mou e i suoi prodi, per chi fosse duro o superficiale di lettura). E sbattuti fuori non saremmo stati se il comunque immenso Esteban avesse angolato solo dieci centimetri meno il suo tiro all’ultimo minuto dei regolari, oppure se nei 30 supplementari non avessimo patito l’unica distrazione, o ancora uno dei tanti altri cross pennellati dal finalmente savio Cassano fosse capitato sulla testa o sul piede giusto. Non si vive di soli se, lo so, ma davvero è stata questione di aliti di vento e ciuffi d’erba, anche se poi solo di questi finiscono per essere piene le cronache consolatorie, e il finire con un pugno di mosche in mano e una riga negativa in più sugli annali del pallone è invece quasi tutto quello che rimane.
In verità, le nostre ultime prestazioni mi fanno andare con la mente al tracciato proprio di un elettrocardiogramma, oppure a quello della borsa che vive di alti e bassi: dopo il ritorno al segno positivo con il Catania è arrivato il down con il Bologna seguito dal rimbalzo verso l’alto con il Tottenham. Sarà anche che siamo interisti e abituati ad alternare le emozioni, ma è proprio già scritto cosa ci si debba aspettare dalla partita prossima con la Sampdoria? Se tanto mi dà tanto, non oso pensarci, e non fatelo più di due secondi nemmeno voi…
Abituati come detto agli scompensi cardiaci, vediamo di consolarci, oltre che della comunque bella figura, anche grazie a qualche indicazione positiva tratta dalla lezione. La prima è che quando si vuole si riesce ad essere squadra invece che un’accozzaglia di pedatori messi in campo solo per onor di presenza, e qui il ricordo ancora fresco va di nuovo alla partita con il Bologna, dove una malatruppa di apparenti nesci, a noi spettatori ha fatto pensare di esserci piazzati per errore davanti alla proiezione del film sbagliato: era d’orrore, invece che rilassante da domenica inoltrata e con finale da abbracci fra innamorati. Quindi, forse conviene insistere su uomini, schemi e coraggio come visto giovedì sera, e spero che il nostro Stramaccioni ne abbia preso nota con tanto di sottolineature.
In mezzo a tutto questo, devo dire che mi devo fare i complimenti per la visione lungimirante: ancora prima che ce lo piazzasse là in mezzo il mister mi ero (davvero!) sognato Ranocchia a far da torre nell’area avversa per cercare di risolvere un po’ di problemi derivanti da carenza offensiva, quelli – per intenderci – che il crac di Milito e lo scornante allontanamento di Livaja da parte del duo comico Brausilio hanno reso evidenti in maniera preoccupante. Ricordando un impiego simile di tempi ormai andatissimi, mi è tornato in mente una pari posizione occupata da Collovati almeno per un paio di partite, e che in quell’ormai epoca antica aveva dato buoni frutti; mi sono quindi detto che il nostro ragazzino piazzato nel cuore del fronte nemico sarebbe servito per: incornare direttamente, spizzare palloni buoni verso altri compagni, distrarre avversari che – in tre costretti a far da balia su di lui – si sarebbero così dimenticati di qualcun altro. Cosa che è successa puntualmente ieri sera con Alvarez, dando così la gioia al giovane pampero di un gol raro come solo i suoi sanno essere (anche se è il secondo in meno di dieci giorni, però!) e pure di qualche applauso d’apprezzamento dai nostri tifosi, rarissimi finora anche quelli. E facendoci, proprio grazie anche a questa mossa, quasi sfiorare il troppo bello. Quindi, mister, prenda nota della possibilità, ne tenga conto e all’occorrenza impieghi il nostro giovane stopper come centravanti da area piccola e dintorni, ché forse l’idea non è solo da riservare all’emergenza estrema. E si ricordi (lei è giovane e posso permettermi di dirlo, io che ne ho viste di ben peggio): è con la tenacia – e nel caso in questione anche con le palle alte messe al posto giusto – che alla fine si riescono a compiere le imprese e non solo a sfiorarle, rischiando ogni volta che questo accade di falcidiare un po’ di appassionati alla causa. Intendo quelli troppo deboli di cuore, nel novero dei quali mi ci metto senz’altro anch’io.